Le rivelazioni

Delitto di Janira, quelle ricerche su “come uccidere” fatte sul telefonino: Alamia si contraddice in aula

L'omicida spiega: "Non volevo fare del male a lei, ma ho pensato di farlo al mio rivale in amore" e poi aggiunge: "Provo tristezza, mi sento un mostro"

Savona. Pochi giorni prima di uccidere l’ex fidanzata Janira D’Amato, nella notte tra il 4 e il 5 aprile del 2017, dopo aver parlato al telefono con lei (secondo gli inquirenti lei in quell’occasione gli aveva ribadito la fine della loro relazione), Alessio Alamia aveva inserito sul motore di ricerca del browser di navigazione del suo smartphone le frasi “uccidere persone” e “come uccidere una persona senza lasciare traccia”. Un comportamento del quale, oggi, è stato chiesto conto all’imputato nella sua lunghissima deposizione (iniziata in mattinata e terminata soltanto nel pomeriggio).

Su questo argomento Alamia si è più volte contraddetto: rispondendo al pm Elisa Milocco, sulle prime, ha detto di ricordare di aver fatto quella ricerca, ma non il motivo (“non lo ricordo”). Dopo, quando la stessa domanda gli è stata fatta dal suo legale, l’avvocato Laura Razetto, ha cambiato versione: “L’ho fatto perché pensavo di farmi del male” ha detto, ma quando il giudice gli ha fatto notare che sarebbe stato inutile capire come non lasciare traccia dopo un suicidio, ecco che il ragazzo ha dato un’altra spiegazione. “Ho cercato quelle cose perché avevo il sospetto che Janira vedesse un altro, allora ho pensato di uccidere il mio rivale”.

Di una cosa l’omicida, però, è certo: “Quella ricerca non era fatta per fare del male a lei” ha ripetuto con fermezza (un elemento che, secondo la difesa, quindi, smonterebbe la tesi della premeditazione).

Tornando a quel maledetto 7 aprile 2017, Alamia ha ribadito diverse volte che la sua intenzione era quella di ridare a Janira alcuni effetti personali e di poterla riconquistare. Sui momenti precedenti all’aggressione ha aggiunto: “Il coltello prima me lo ero puntato al cuore. Lei mi aveva detto ‘non farlo… posalo’. Allora l’ho messo per terra e abbiamo discusso ancora, poi l’ho ripreso per l’omicidio”.

Nella sua deposizione, oltre a ricordare la sua vita prima del delitto, l’imputato ha parlato anche di quello che gli è successo dopo, quando è finito in carcere: “All’inizio sostenevo che Janira non era morta. Non ci credevo a quello che avevo fatto… poi col passare dei mesi ho guardato la realtà in faccia e mi sono reso conto che lei non ci sarà mai più. Ho capito quello che avevo fatto”.

“Oggi cosa provo? Tristezza, mi sento un mostro e sono pronto a pagare per quello che ho fatto. So che è una cosa ingiustificabile” ha concluso Alamia prima di tornare a sedersi accanto al suo avvocato.

Il video INTEGRALE della deposizione

Dopo di lui in aula sono state ascoltate anche la zia e la madre di Alamia. La prima ha parlato del nipote come di un ragazzo tranquillo e mai violento, anzi vittima a sua volta di episodi di bullismo a scuola. Un rapporto, il loro, terminato bruscamente con l’omicidio: “Un gesto così non lo posso perdonare. Non voglio più avere niente a che fare con lui”.

La mamma, invece, ha parlato dei suoi rapporti con Janira (“Erano buoni, ci andavo d’accordo ed abbiamo discusso solo quando mi hanno accusato di averle preso dei soldi”) e col figlio. La donna ha poi confermato di aver incontrato Alessio subito dopo il delitto a Loano: “Mi sembrava tranquillo e non era agitato. Gli ho comprato un tè freddo. Poi mi ha chiesto scusa perché avevamo litigato e mi ha domandato ‘Mamma qualunque cosa succeda mi vuoi sempre bene?’ Io gli ho risposto di sì e poi gli ho chiesto se fosse successo qualcosa. Lui mi ha detto che era tutto a posto e che andava dalla nonna'”.

Il processo continuerà a dicembre con l’audizione degli ultimi testimoni della difesa e di uno della parte civile, mentre la discussione e la sentenza dovrebbero arrivare a gennaio.

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