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Per un pensiero altro

Guelfi e Ghibellini

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

pensiero altro 16 luglio 2024

“Finalmente è arrivato il momento, il governo ha recepito l’istanza pressante espressa dal popolo e si appresta a emettere una legge che obblighi alla tolleranza e, soprattutto, ha promesso tolleranza zero nei confronti dei chi la infrange”. Non si può negare la caustica prospettiva satirica del paradosso espresso dall’amico Gershom Freeman che, come sempre, non deve essere letto con superficialità, l’intento non è solo di suscitare un sorriso, ma, anche e soprattutto, una riflessione. Come tanti altri aspetti della civile convivenza democratica, la tolleranza è imprescindibile, eppure è impossibile istituirla per legge, può essere posta come fondamento di una costituzione, ma nel momento in cui si intendesse tradurla in legge si genererebbe un corto circuito etico e giuridico. Come altri principi generali, infatti, non può mai essere un effetto ma deve sempre porsi come causa archetipica. Ma allora il problema permane, se un popolo o anche solo un gruppo o finanche un singolo individuo manifestassero atteggiamenti di intolleranza addirittura aggressivi, la reazione del tollerante potrebbe essere solo ispirata alla resistenza passiva di gandhiana memoria. Per inciso, lo stesso gigante della rivoluzione pacifica, il più efficace sostenitore della tolleranza, affermava di non amare questa parola ma che “non ne aveva trovata un’altra”. Non si tratta, ne sono convinto, di una mera questione semantica, per Gandhi la verità, l’amore e, credo soprattutto, il rispetto dell’altro e del suo pensiero, non appartengono a nessun credo personale, né politico né religioso, il suo induismo così prossimo alle radici etiche di quella religione, era apertura nei confronti di ogni fede che per lui era sempre “affare personale di ciascuno”. In effetti credo sia corretto ricordare l’affermazione dello studioso tedesco Gerhard Staguhn che nel suo “Breve storia delle religioni” scrive: “Apertura e tolleranza, che ci sorprendono nell’induismo, mancano nelle religioni monoteistiche. In esse è rigorosamente stabilito a che cosa debba credere il singolo”. A corroborare quanto affermato in apertura, non possiamo che ricordare che Gandhi fu assassinato da un giornalista indù che, come molti altri seguaci della stessa religione, lo accusava di averla tradita a causa della sua apertura verso i musulmani.

La tolleranza è l’effetto dell’accoglienza, della tutela e del rispetto del dubbio in noi, l’arroganza è sempre supponenza, assenza di autocritica, ottusa e fanatica certezza di essere depositari di incontrovertibili verità. Non mi interessa, almeno in questa sede, indagare sofisticamente la questione del dubitare di dubitare fino allo stallo del pensiero, mi accontento del sano pragmatismo del buon senso, così da poter, abbastanza serenamente, supporre di essere stato compreso celebrando l’amore per il dubbio in sé e nell’altro e l’intelligente disponibilità al confronto e all’accoglienza e alla difesa del sopravvenire di un altro punto di vista. Credo sia importante, però, individuare una netta distinzione tra tolleranza e indifferenza. Se risulti impermeabile o non ti interessano minimamente le idee altrui non puoi certo ritenerti tollerante, è indispensabile essere disponibili ad aprirsi curiosi verso opinioni e visioni diverse e addirittura antitetiche, un simile atteggiamento raramente porterà al conflitto, molto più facilmente sarà possibile edificare un nuovo ambito di crescita condiviso. Altra degenerazione della tolleranza è il suo vanificarsi in un mondo profondamente omologato, un mondo nel quale le differenze individuali risultano essere tanto marginali da non poter suscitare alcuna reazione vistosa, anzi, un simile mondo sarebbe indotto a conservare le eccezioni come fenomeni da tutelare in una cripta in qualche museo così da divenire curiosità eccentriche e corroboranti nei confronti della “saggia e totalizzante maggioranza concorde”.

Indro Montanelli affermava che “Siamo tolleranti e civili, noi italiani, nei confronti di tutti i diversi. Neri, rossi, gialli. Specie quando si trovano lontano, a distanza telescopica da noi”, sempre molto ironico e capace di provocare intelligentemente, ma l’accelerazione della storia degli ultimi decenni ha spaesato soprattutto le culture più permeabili al dubbio e l’intero occidente è incappato nella implicita fragilità di ciò che è una tolleranza fraintesa. Solo quando si hanno idee profondamente sorrette dal pensiero si è in grado di accogliere prospettive alternative, ma l’ignoranza di sé, della propria storia, dei propri itinerari, ha indotto intere generazioni a riconoscersi sincreticamente senza mai cogliere intimamente il portato delle diverse culture. Si tratta di una sorta di principio fisico, ogni vuoto è facilmente colmabile da una sopravvenienza del momento, ma l’incapacità di metabolizzare intimamente e trasformare il nuovo commestibile in carne e sangue propri, ne consentirà una facile evacuazione così da essere immediatamente disponibili alla prossima abbuffata. A testimonianza sarà facile portare l’insorgere di movimenti politici, innamoramenti religiosi e comportamenti collettivi che seguono quello che già quarant’anni or sono l’onorevole Spadolini riteneva doveroso combattere e definiva, presentando il programma del suo governo, “il solipsismo ondivago della moda”. A parte il disorientamento di gran parte del Parlamento che, allora privo di internet, fu costretto a cercare sul dizionario il significato dell’espressione, comunque nessun effetto reale avrà l’azione di quel governo né dei successivi sulla degenerazione culturale appena denunciata. Nessuna legge potrà garantire la centralità della cultura, unica reale panacea per ogni forma di intolleranza, potrà garantire servizi e contributi alle scuole, ma l’amore per la conoscenza, la curiosità verso il diverso, la volontà di confrontarsi con la gioia di incontrare l’inatteso, non saranno assicurati se non da una vera rivoluzione valoriale.

Goethe affermava che “tollerare è offendere”, infatti presuppone l’arroganza supponente e un paternalistico accordare spazio a ciò che si continua a considerare sbagliato, ma oramai il problema ha acquisito connotazioni ancor più gravi, basta seguire un qualsiasi dibattito televisivo: impera la maleducazione, il delirio di onnipotenza dei conduttori, la la volgarità come codice di dialogo. Si spaccia il linguaggio scatologico come libertà di espressione, quasi l’insulto fosse un segno di emancipazione. Ancor più tragico è il consenso di un pubblico che apprezza l’urlo, invece di riconoscerlo come assenza di idee fondate e competenze argomentative. I cosiddetti intellettuali si misurano in base alla capacità di prevaricare, non cercano di proporre idee qualificate o, almeno, non proprio a livello di chiacchierata da bar, non sanno suggerire prospettive profonde anche se magari impervie e poco popolari, ciò che conta è il consenso nel nome del quale ogni opinione è lecita e l’ultimo dei mediocri reclama il suo “diritto alla celebrazione del nulla”. Senza voler scomodare qualche grande mente del passato, anche se credo che chi mi legge non farà alcuna fatica a riconoscerne le predittive notazioni, sembra che la storia si ripeta sempre uguale a se stessa nel suo apparente mutare e che ogni confronto sia di fatto una polemica, un conflitto, una logomachia, con l’aggravante della vacuità delle ragioni addotte all’apparente argomentare. Forse siamo rimasti all’epoca dei Guelfi e dei Ghibellini, popolo incolto e ferocemente schierato a sostenere una delle parti senza comprenderne le reali differenze, senza accorgersi che divengono due facce della stessa medaglia nel momento in cui il sostenitore sta solo scegliendo il proprio padrone. Fino a quando non sapremo crearci realmente un’alternativa che risponda a una visione della vita e non all’opportunismo del momento, non esisterà una vera libertà di scelta ancor più mentre si sta celebrando il diritto a servire “o Francia o Spagna purché se magna”. Celebriamo la tolleranza nei confronti delle idee, ma non offriamoci proni al “non pensiero unico”: reclamiamo il dovere e il diritto all’intelligenza e alla cultura.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.

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