Rapporti rischiosi

Prete arrestato per violenza sessuale “socialmente pericoloso”. La giudice: “Sieropositivo, ha avuto rapporti non protetti con la vittima”

Domani l'interrogatorio di garanzia. E, salvo colpi di scena, il processo dovrebbe poi svolgersi a Savona

andrea melis

Finale-Genova. Andrea Melis, il sacerdote genovese ed ex preside dell’istituto Assarotti di Genova, arrestato per violenza sessuale su minore è sieropositivo da circa dieci anni e nonostante questo ha avuto con la giovanissima vittima sempre rapporti non protetti. Questo secondo la gip Milena Catalano lo rende ancora più pericoloso socialmente e per questo ne ha disposto l’arresto ai domiciliari.

“La pericolosità  – scrive la giudice nell’ordinanza – è ancora maggiore se si pensa al fatto che è portatore di HIV e che ha intrattenuto tutti i rapporti” con un ragazzino che nel 2021 non aveva nemmeno 13 anni “senza alcuna precauzione e quindi esponendolo al pericolo di Aids”.

La sieropositività di Melis è stata scoperta dai militari dell’Arma durante la perquisizione della sua abitazione avvenuta poco più di un mese fa, dopo la denuncia dei genitori del ragazzo che avevano scoperto sul telefono del figlio numerose chat dal contenuto sessuale. In casa del sacerdote, è stata trovata documentazione medica relativa agli esami a cui il prete periodicamente si sottopone e farmaci antiretrovirali che lui stesso ha spiegato ai militari di assumere per contrastare l’infezione che ha raccontato di aver contratto in Africa circa dieci anni fa. Quando il minore è stato sentito dagli investigatori tuttavia la terribile scoperta: con lui Melis avrebbe avuto sempre rapporti completi non protetti.

Per la giudice si tratta senza dubbio di un elemento che acuisce – insieme ad altri – la pericolosità sociale del prete e che ancor prima dell’arresto di lunedì aveva fatto scattare le indagini da parte della Curia, la sua sospensione e l’obbligo di residenza nella struttura religiosa dei Padri Scolopi di Chiavari a cui poi si è aggiunto l’arresto con la misura cautelare dei domiciliari, anche se il pm Federico Panichi, che coordina l’inchiesta aveva chiesto per Melis il carcere.

Al momento la Procura di Genova non ha contestato al prete uno specifico reato su questo aspetto perché il ragazzo vittima di violenza è risultato al momento negativo al test sull’Hiv. Se la situazione dovesse cambiare o se nel corso delle indagini si presentassero altre presunte vittime di abusi (i ragazzini citati nell’ordinanza per i quali la Procura contesta la tentata violenza sessuale avrebbero subito solo baci, carezze o sfioramenti), in caso di contagio a Melis potrebbe essere anche contestato il reato di lesioni dolose gravissime.

D’altronde sembra accertato scientificamente e in questi termini si esprime anche il ministero della Salute che “non si corre rischio di contrarre l’Hiv se si hanno rapporti sessuali non protetti con una persona con Hiv in terapia antiretrovirale efficace (con carica virale nel sangue non rilevabile da almeno sei mesi)”.

Quindi se Melis si è si è sempre curato con estrema precisione nell’assumere i farmaci potrebbe non aver mai contagiato nessuno.

A casa sua fra l’altro i militari dell’Arma hanno trovato, fra sex toys  e prodotti per il potenziamento sessuale, anche molti preservativi che tuttavia con il giovanissimo che trattava da ‘fidanzato’ a cui dava la paghetta dopo ogni abuso non avrebbe mai utilizzato. Gli investigatori in queste ore hanno rivolto un appello a eventuali altre vittime di abusi e le indagini proseguono. 

Domani (7 agosto) intanto davanti alla giudice Milena Catalano Andrea Melis, difeso dagli avvocati Raffaele Caruso e Graziella Delfino, comparirà per l’interrogatorio di garanzia. Ma probabilmente si avvarrà della facoltà di non rispondere. A quel punto, complice il fatto che il reato più grave (e le prime violenze) a lui contestato risulta avvenuto a Finale Ligure, presso la chiesa dei Padri Scolopi, salvo colpi di scena il processo dovrebbe poi svolgersi a Savona. 

Sulle condizioni di salute del sacerdone, gli avvocati sottolineano in una nota: “Padre Melis vive con infezione da Hiv ma la sua situazione è in cura da 12 anni presso l’ospedale San Martino e da oltre 10 anni la terapia che sta seguendo ha dato esiti positivi, poiché i controlli che periodicamente esegue confermano la non rilevabilità del virus che quindi è totalmente sotto controllo e, per l’appunto, irrilevante“.  I legali inoltre sottolineano come si tratti di informazione “ultrasensibile” sui cui “dovrebbe stendersi in maniera totale il velo della privacy per evitare che un dato di paura istintiva, che spesso è dovuta all’insufficienza delle informazioni scientifiche, non provochi uno Stigma sulle persone”.

E ricordano che Melis” non aveva comunicato questa notizia a nessuno, né al suo ordine, né alla sua famiglia” ma “ha invece comunicato agli inquirenti questa informazione (peraltro acquisita anche attraverso una serie di documenti medici), perché fosse gestita al meglio nell’interesse della persona offesa”. Secondo i legali “ci troviamo di fronte ad un fatto drammatico in cui non c’era bisogno di questo elemento di narrazione: gli elementi di gravità sono già pesantissimi e forse questa diffusione poteva essere risparmiata all’indagato e ancor più alla persona offesa”.

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