Savona. Nel corso dei secoli, storie e racconti si sono stratificati nella tradizione savonese, andando a costituire un patrimonio di miti e leggende che, sempre con la giusta dose di distacco, permettono di guardare al passato avvolti da un velo di mistero e magia.
Alcune di queste credenze sono molto note, altre invece sono poco conosciute ai più; ciò che conta è il vivo interesse e la mutuata curiosità che queste continuano a suscitare in coloro che vi entrano in contatto.
Alcuni di questi miti sono legati a veri e propri simboli della città, come monumenti e costruzioni, altri a personalità illustri che vi hanno vissuto. Partiamo dal Tesoro del Priamar, il cui Mastio è considerato da sempre un luogo carico di storia e mistero. Durante l’edificazione della Fortezza, la leggenda vuole che vi sia stato sepolto un tesoro, mai ritrovato, custodito da uno spirito maligno che avrebbe ucciso tutti coloro che avessero tentato di ritrovarlo. Si racconta, inoltre, che il complesso monumentale sia infestato dai fantasmi dei prigionieri che vi hanno trovato la morte: il Priamar, infatti, un tempo era adibito a prigione per i criminali considerati più pericolosi.
Poco lontano, ci si può imbattere nel prigioniero nella Torre del Brandale, antica torre difensiva utilizzata fino al XIX secolo come prigione. La credenza narra che la Torre sia infestata dal fantasma di un prigioniero, rinchiusovi per un crimine che non aveva commesso, che ancora oggi vi vaga all’interno in cerca di giustizia.
Segue la leggenda del Corpo di San Giovanni Battista, una delle storie più antiche legate alla città. Durante la seconda crociata (1147), il corpo del santo sarebbe stato rinvenuto da un gruppo di militi, che lo avrebbero trasferito a Savona. Questi avrebbero successivamente nascosto la salma in una cripta segreta, per evitare che cadesse nelle mani degli avversari Saraceni, in caso di attacchi alla città da parte di questi ultimi. Nessuno, tuttavia, è a conoscenza del luogo dove tale cripta è collocata.
Anche il Teatro Chiabrera non è salvo dalle infestazioni di fantasmi: una ballerina, morta durante uno spettacolo, si aggirerebbe per i corridoi del teatro, continuando a ballare, vestita in abiti d’epoca e lasciandosi dietro, in una scia, un profumo di fiori.
Vi è poi una credenza più complessa ed articolata, che vede protagonista uno dei personaggi più noti della Città della Torretta: Leon Pancaldo e la leggenda dei fuochi di Sant’Elmo. Nel novembre del 1520, il celebre navigatore savonese stava attraversando lo Stretto di Magellano, con la moglie Silvia De Romana rimasta a casa ad attenderlo. Una sera, durante la navigazione, assalito da un forte sconforto per la lontananza dall’amata, affida il timone al suo secondo e si ritira sottocoperta. Ma il sonno è tutt’altro che tranquillo: sogna la nave colta da una tempesta e prossima a naufragare, finché non vede apparire i fuochi di Sant’Elmo, che vanno a posarsi accanto all’albero maestro. Secondo la tradizione, quelle luci erano l’avviso del santo ai marinai affinché si preparassero alla morte, tanto più imminente se i fuochi scendevano dall’alto per raggiungere la coperta.
Nella sua visione Pancaldo li vede, al contrario, risalire dalla coperta e correre sul mare fino a raggiungere la Torre di Sant’Elmo, a Savona, dove sorge la loro abitazione e dove Silvia, avvolta dalle fiamme, invoca disperata l’aiuto del marito; il sogno si ripete anche nei giorni seguenti, suscitando forte preoccupazione nel navigatore. Una sera Michele Solaro, mercante di schiavi in Africa, ed altri suoi compagni d’avventura, ubriachi e reduci da una rapina in casa di tale Pietro Saluzzo, tentano di penetrare nella chiesa di Santa Caterina, per tentarvi un furto. Provocano involontariamente un incendio e rimangono imprigionati nella chiesa; il fuoco divampa, svegliando alcuni abitanti della zona tra i quali Silvia, che si accorge che anche la sua abitazione è avvolta dalle fiamme.
Disperata, invoca il nome del marito finché un uomo di nome Giovanni, udendola, corre in suo aiuto. Si tratta proprio di uno dei responsabili del rogo, salvato da Leon quand’era un bambino mentre rischiava di affogare in mare. Giovanni prende una scala e, sfondando una finestra, afferra Silvia e la avvolge in una coperta, traendola in salvo e lasciandola in custodia ai guardiani della Torre di Sant’Elmo. Grazie a quell’event cruciale, Giovanni decide di cambiare vita e si dedica alle opere di bene.
Savona tramanda anche la leggenda del miracolo di Don Antonio. Intorno al 1800, nel centro storico, un uomo di chiesa di nome Antonio dedicava la sua vita ad aiutare ed educare i bambini bisognosi che crescevano per strada. Molto amato e rispettato, nonché conosciuto da tutti come “don”, si rese artefice di quello che tutti reputarono un vero e proprio miracolo.
Una domenica, uno due ragazzini a cui lui si dedicava venne sorpreso a rubare nelle tasche di alcuni nobili borghesi, che stavano uscendo dalla messa appena terminata. Un passante colpì violentemente il giovane con un bastone, spezzandogli apparentemente entrambe le gambe, per poi defilarsi velocemente. Nel giro di pochi minuti la folla si precipitò a vedere il giovane che urlava dal dolore, dimenandosi a terra senza riuscire a muovere le gambe.
Anche Don Antonio si recò sul luogo dell’accaduto, prendendo in braccio il ragazzo e lo portandolo in chiesa. La folla tentò di seguirli, trovando però il portone chiuso. Dopo pochi istanti il cielo, da completamente sereno, si coprì di nuvole, con lo scatenarsi di un forte temporale che costrinse tutti a fuggire verso le proprie case. Una sola persona si trattenne e poté vedere il giovane uscire dalla chiesa sulle proprie gambe. Il ragazzo corse a raccontare l’accaduto e i cittadini urlarono al miracolo, con Don Antonio che non diede mai una chiara spiegazione dei misteriosi fatti, rimasti avvolti dal mistero.
Uscendo dai confini stretti di Savona città, ci si imbatte in molti altri miti e credenze che popolano l’immaginario collettivo delle varie località della provincia. A Ellera, frazione di Albisola Superiore, si tramanda la leggenda delle gatte stregate. Da sempre considerato territorio di streghe, nei dintorni del borgo, nascosta tra i rovi, si celerebbe la caverna ove queste trovano rifugio. Queste donne bellissime, dai lunghi capelli e dalle orecchie a punta, sarebbero dotate di animo gentile e per questo godono del rispetto degli abitanti del luogo, con i quali vivono in armonia. Il loro spirito caritatevole si concretizzerebbe nelle cure prestate ai bambini malati, nel soccorso ai viandanti smarriti e nel propiziare raccolti e produzioni abbondanti per contadini ed allevatori.
La tradizione vuole che con l’invasione dei domini della Repubblica di Genova da parte dell’esercito napoleonico, alcune streghe di Ellera furono violentate dai soldati, sorprese mentre danzavano nude. Per sfuggire alla violenza, le donne si mutarono in gatti selvatici di enormi dimensioni, dal volto di donna. Chiesero aiuto agli abitanti del borgo, promettendo di far trovare loro monete d’oro sotto i cuscini ogni mattina, se fossero riusciti ad allontanare i soldati; ben presto la guarnigione napoleonica lasciò Ellera e le streghe poterono riassumere le loro sembianze femminili. Coloro di queste ultime che erano rimaste incinte partorirono dei basilischi che, si narra, vivano tutt’oggi sul fondo della caverna.
A Pietra Ligure, alla Rocca delle Fene sul Monte Trabocchetto, si ricordano i sabba delle streghe: festini orgiastici accompagnati da una danza in cui le donne nude si prestavano ad ogni perversità carnale ed animalesca. Le testimonianze, costituite da carte antiche e dai racconti orali dei pietresi più anziani, narrano che le cosiddette Bàsue, alla presenza del diavolo sbucato da una grotta allora esistente, allestivano sui dirupi della Rocca i loro riti infernali nelle notti di plenilunio, a suon di corno e triviali (canti lugubri e disumani).
Si racconta che le streghe scendessero dalla Val Maremola, dopo essersi cosparse i capelli di cenere umana, aver spalmato il proprio corpo con intrugli di grasso di lupo, feti di capra e di corvi e svolazzando su esili
canne, strappate dal torrente sottostante. L’allucinante concerto di litanie blasfeme veniva diretto da Belzebù, assiso in trono sul dirupo più alto, che nel mentre aspergeva sangue animale. Dopo le estenuanti danze tribali, aveva inizio il ferale banchetto, il cui piatto principale consisteva in carogne di uccelli rapaci, topi e lupi.
Contemporaneamente, nella chiesa non lontana dal macabro convegno, la Confraternita della Morte invocava la protezione divina, affinché non fossero profanate le spoglie mortali custodite nel cimitero di Santa Caterina, situato ai piedi del Trabocchetto, dal quale le Bàsue trafugavano le ceneri.
La rassegna potrebbe proseguire ulteriormente, citando la leggenda del Buranco, la misteriosa scorciatoia per l’inferno della Val Varatella; i miracoli di San Domenico a Savona; l’eremitaggio di San Martino nelle grotte e negli scogli dell’Isola Gallinara; le anime dei marinai morti che si radunerebbero sul Bricco Spaccato di Albissola; il diavolo del Rianazzo di Cairo Montenotte; le vicende romantiche di Adelasia e Aleramo, fuggiti dalla corte tedesca ed approdati sulle alture di Alassio; i pirati del “sacco di Ceriale”. Insomma “chi più ne ha più, ne metta”, come si suole dire: il patrimonio di miti e credenze del savonese è più ricco di quanto si possa immaginare, un insieme di storie e leggende che per secoli si sono tramandate fino a noi, mescolando realtà e fantasia, magia e mistero.